Giulia non aveva mai visto l’alba a Letojanni, né il frantoio vicino al giardino carico di arance vaniglia dal profumo denso e inebriante, ma aveva colto il sapore di quella terra in un racconto tante volte ripetuto dal padre, nelle pause di nostalgia.
Dal tempo del terremoto del 1912 ,strappato dalla sua terra con la fine della famiglia, suo padre era tornato raramente e da solo in Sicilia per definire, in modo frettoloso e di nessun profitto, le pendenze di una grande proprietà che svaniva di giorno in giorno in mano a fattori e guardiani.
La parte del racconto, che aveva sempre coinvolto Giulia, era la seguente:
la descrizione della tavola dove la moglie del fattore si affaccendava a sciorinare per il “signorino” quei piatti dai sapori antichi che risuscitano il gusto dolce amaro dei ricordi infantili ;
il suono stridulo della; voce del figlio più piccolo che rompeva il silenzio: “voglio bivere in to buccale!”;
il ”non si bive in to buccale!” del fattore che con tono autoritario redarguiva il figlio, forse per dare una dimostrazione al “signorino”, ancora per poco proprietario del fondo, delle sue capacita’ di educatore.
Dopo molti anni Giulia è ritornata in quei luoghi della memoria.
Il frantoio non esiste più, né la campagna con gli ulivi dalle foglie d’argento.
Al suo posto un albergo moderno ospita i turisti stranieri e li aggrega al paesaggio con racconti e leggende dal tono stucchevole e pubblicitario.
Il figlio del fattore, dicono in paese, ha venduto bene la proprietà del padre.
Giulia pensa lungamente al senso epocale della ribellione di un piccolo contadinello scalzo, in una cucina rustica e semibuia.
Questa frase le ha martellato il cervello, nei momenti delle decisioni che contano, nella ricerca di nuove esperienze, nella “violenza” esercitata o subita nelle più varie forme e nei suoi camuffamenti.
Forse il cambiamento è nel “voglio bivere in to buccale”!!!!